Incapace, ma ricco: può chiedere l’ amministrazione di sostegno?
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L’esigenza principale richiesta da un soggetto incapace è quella di adottare nei suoi confronti adeguate misure di protezione, anche e soprattutto a tutela del patrimonio.
Ho già parlato di questo strumento di assistenza in altro post, vedi: Amministrazione di sostegno: cos‘è e quando rivolgersi al Tribunale?
Di seguito, cercherò di analizzare il problema dell’adeguatezza dell’amministrazione di sostegno, e quindi della possibilità o meno di adottare tale misura, in caso di ingente consistenza del patrimonio del soggetto da proteggere.
Quale è lo scopo dell’ amministrazione di sostegno ?
Essa è, in generale, uno degli strumenti di protezione dei soggetti che presentano limitazioni parziali o totali della capacità di autodeterminazione.
Offre, è il caso di dirlo, a colui che si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, uno strumento di protezione che ne sacrifica, nella misura minore possibile, la sua capacità di agire (mediante l’affiancamento ed in certi casi, la sostituzione di un soggetto chiamato amministratore di sostegno).
Qual’è la differenza principale tra amministrazione di sostegno e interdizione / inabilitazione?
L’interdizione e inabilitazione sono due misure a tutela dei soggetti incapaci che non sono state soppresse dalla legge n. 6/2004, che ha introdotto l’amministrazione di sostegno, ma solo modificate negli artt. 414 e 421 del codice civile.
L’amministrazione di sostegno si differenzia dalle suddette misure dell’interdizione ed inabilitazione non già per il diverso e meno intenso grado di incapacità del soggetto beneficiario.
Il tratto distintivo sta, invece, nel fatto che l‘ amministrazione di sostegno si presenta come uno strumento che ha una maggiore idoneità di adeguamento alle esigenze del soggetto da proteggere, essendo più flessibile ed agile dal punto di vista applicativo.
Quali sono gli elementi che il Tribunale deve vagliare per adottare l’amministrazione di sostegno?
Il Giudice, nell’applicare tale misura (ma prima ancora, chi propone l’istanza al Tribunale), dovrà valutare se essa si presenti adeguata a proteggere il soggetto incapace e per fare ciò, dovrà considerare essenzialmente:
- il tipo di attività che deve essere compiuto per il beneficiario;
- la gravità e la durata della malattia da cui è affetto;
- la natura e la durata dell’impedimento;
- tutte le altre circostanze del caso concreto.
Il Giudice deve considerare anche il patrimonio del soggetto incapace?
Si, il Giudice tutelare dovrà valutare, nell’ambito delle attività da demandare all’amministratore, anche ampiezza, consistenza e natura del patrimonio, in relazione alla gravità ed alla durata della malattia del beneficiario, nell’ottica della funzione propria dell’amministrazione di sostegno.
L’amministrazione di sostegno, per sua funzione, protegge il soggetto con la minore limitazione possibile della sua capacità, quindi affidando il compimento di alcuni atti all’amministratore ed altri realizzabili dallo stesso beneficiario, ma con l’assistenza di quest’ultimo.
Può essere nominato un amministratore di sostegno ad un beneficiario ricco?
La caratteristica dell’amministrazione di sostegno di approntare limitazioni (soltanto) parziali ai poteri di gestione patrimoniale del beneficiario importa, di per sè, l’inidoneità dello strumento dell’amministrazione di sostegno laddove sia necessario fronteggiare le esigenze di gestione di un patrimonio ingente, vario e complesso, di cui sia titolare un soggetto in condizioni psicofisiche totalmente inadeguate.
Il caso. La Suprema Corte di Cassazione [1], in applicazione di questi principi, ha ritenuto che la misura adeguata in favore di un soggetto molto anziano, affetto da demenza senile ed aduso a consistenti atti di prodigalità, fosse l’interdizione, anche e soprattutto in considerazione delle complesse esigenze di gestione ordinaria e straordinaria dovute all’ingente consistenza del patrimonio del beneficiario, irrealizzabili invece con la misura dell‘amministrazione di sostegno.
[1] Sentenza, 26 luglio 2013, n. 18171.